Focaccia a libro

La focaccia a libro

La focaccia a libro

LA F’KAZ A’ LIVRE

I magnifici sette lasciarono Bari il 7 gennaio 1799, ai primi albori del mattino, e si diressero a Sud. Il primo paese che incontrarono fu Capurso, poi raggiunsero Casamassima.

Mentre attraversavano questo paese, un uomo a cavallo si mosse verso di loro, si fermò a pochi metri, li guardò attentamente, li seguì fino alla periferia del paese, poi si recò dal Governatore Baronale di Casamassima, e riferì: Sette stranieri hanno attraversato il nostro paese, potrebbero essere francesi, parlavano di Napoleone e di Murat con una pronuncia strana; sei erano a cavallo, l’altro conduceva uno strano sciarabbàll (char à banc ) con doppio fondo che certamente conterrà armi; alla parte posteriore dello sciarabbàll era legato un cavallo sellato, si sono diretti verso San Michele.
Dovete catturarli e, se con certezza, risultano essere francesi o amici dei francesi uccideteli, come fa il generale giacobino Broussier, nella città di Bari, con i nostri.  ordinò il governatore.

Non tirava un alito di vento, quel giorno, il cielo era completamente azzurro, non c’era una nuvola, e il sole splendeva e diffondeva il suo dolce tepore. In Puglia capitano spesso simili giornate in pieno inverno … Che meraviglia! … In quella contrada tutto era arancione: la calendula ( la kak’landrìsc’ne ) era in piena fioritura: arancioni erano i bordi della strada, arancioni erano i prati; solo sotto le spoglie chiome delle grandi querce c’era un po’ di verde, e fra quelle querce c’erano pastori con i loro greggi, c’erano boscaioli che caricavano tronchi e ramaglie sui loro carri trainati da giganteschi muli, e c’erano anche alcune donne che con lo sguardo rivolto a terra cercavano le verdure selvatiche del posto: i Crespigni ( i S’vùne ), le Aspraggini ( i Sprùsc’ne ), i Ravanelli selvatici ( i Lapèst ), i Boccioni minori ( i Katàl o Kristàuri o Kristàl ), i Rapacini ( i C’mmamarèd o Cime d’ciuc o Rugl ). La visione era particolarmente suggestiva. Giovanni Francesco Boccheciampe, Giambattista De Cesari, Casimiro Raimondo Corbara, Lorenzo Durazzi, Stefano Pittaluca, Antonio Guidone e Ugo Colonna rallentarono l’andatura dei loro cavalli, e poi si fermarono perché, come per incanto, ebbero la sensazione che stessero penetrando in un enorme dipinto perché a destra e a sinistra della strada la scena era la stessa. Per un attimo smisero di maledire Napoleone con tutti i francesi. Quando si ripresero dallo stupore fu unanime la decisione di fare una piccola sosta in quel luogo così tranquillo.

Ad un pastore che attraversava la strada con le capre, Lorenzo chiese: – Buon uomo, dove possiamo trovare dell’acqua?  
Il pastore: Vedete, quella stradina a destra, va dritta alla piscina ( pozzo ) che si trova nel bosco, dove c’è un avvallamento del terreno. Lì troverete, appeso al ramo di un fragno, un secchio per attingere l’acqua; per i vostri cavalli ci sono quattro pile ( abbeveratoi ) già piene di acqua.

I sette Corsi ringraziarono il pastore, si mossero piano, poi girarono a destra, e scomparvero fra la vegetazione del bosco.
Il pastore stava ancora sul bordo della strada quando udì un fragoroso scalpitio; guardò in direzione di Casamassima e vide che giungeva un gruppo di cavalieri. Questi, appena videro il pastore, si fermarono. Erano armati. Ehi, tu, hai visto sette cavalieri, con uno strano sciarabbàll?
Sì, sono giunti qui poco tempo fa, e mi hanno chiesto dell’acqua. Io ho detto loro che la piscina sta nel bosco e la si raggiunge percorrendo quella stradina a destra.
Raggiungiamoli subito e uccidiamoli! gridò uno di loro.
Saranno già scesi da cavallo, ci sentiranno arrivare … e assumeranno posizione di difesa, no! … Nel bosco ci sono cespugli e sarà difficile catturarli; dobbiamo aggredirli lungo la strada, quando non se l’aspettano. obiettò un altro.
Intervenne il pastore: Quasi alla periferia del paese ci sono sei grandi specchie ( cumuli di pietre ), due a un lato della strada e quattro all’altro, passeranno per forza fra le specchie … è lì che li dovete assalire … e mandate subito qualcuno ad avvisare Carlantonio.
Chi è Carlantonio? Chiese un altro casamassimese.
Carlantonio Spinelli è il sindaco di San Michele. E’ un combattente per la Santa Fede.
Pastore, ti ringraziamo per l’informazione, però ci hai incuriositi per le tue conoscenze … vogliamo sapere chi sei!
Io sono un pastore errante, e sono al servizio del cardinale Fabrizio Ruffo: gli mando informazioni su tutto quello che avviene in questo territorio.
Grazie, fratello in nostro Signore Gesù Cristo!

I sette Corsi furono aggrediti alle sei specchie, fra spari e grida cercarono di raggiungere il paese, ma gli abitanti sbarrarono loro la strada, fra essi c’era anche il sindaco Carlantonio. Gli aggressori gridavano quasi in coro: Fuciliamoli subito, sono spie francesi!
Un altro gridò da sopra lo char à banc: Qui, nel doppio fondo, ci sono armi!
Noi non siamo francesi, e nemmeno siamo spie, noi odiamo i francesi, noi siamo della Corsica, siamo venuti qui per organizzare la guerriglia contro gli invasori di queste terre, se ci fucilate, poi vi pentirete. spiegò Lorenzo.
E chi vi crede? … Non possiamo credervi! … Vi fucileremo! ribatté un altro casamassimese. Intervenne Carlantonio: Io sono sicuro che questi non sono spie francesi: questi sono venuti nelle nostre terre per aiutarci a scacciare i francesi, prima di ucciderli, dobbiamo portarli a Casamassima, dal Governatore Baronale, per accertarci che non siano francesi oppure collaboratori dei francesi. Io verrò con voi per essere certo che li portiate veramente a Casamassima … e che si compia correttamente la loro identificazione  poi volse lo sguardo verso i Corsi e domandò: Fra di voi chi è il vetturino?
Nessuno rispose. Carlantonio cercò di spiegarsi meglio:
Intendevo dire, chi di voi era sullo sciarabbàll quando siete stati aggrediti?
Io ero sullo char à banc quando ci hanno assaliti! affermò Giovanni mentre, con un fazzoletto, asciugava il sangue che aveva sul suo viso.
Va bene … tu … solo tu, da questo momento, puoi considerarti nostro ostaggio, i tuoi compagni verranno a Casamassima … come ti chiami?
Giovanni Boccheciampe, signore.
Adesso ti condurranno a San Michele, ti daranno la chiave del sottano sfitto che ho vicino al forno; lì resterai, in piena libertà, fino a domani forse dopodomani … cioè fino a quando tornerò con i tuoi amici scagionati e onorati … sì, scagionati e onorati! … Sono sicuro!  Carlantonio fece una pausa prima di riprendere: Con te porterai lo sciarabbàll e anche il cavallo che vi è legato dietro. Lo sciarabbàll sarà custodito nell’atrio del castello, i due cavalli saranno affidati allo stalliere del proprietario del castello, e tu, signor Bocche … Bocche … Boccheciampe potrai chiedere da mangiare al fornaio … ti tratterà bene! 

Si avvicinò un Sanmichelino su un fiero cavallo Murgese, poggiò i palmi delle mani sull’arcione anteriore della sella, tolse i piedi dalle staffe, e ondeggiò tre volte le gambe prima di saltare a terra. Carlantonio si avvicinò a quel nero cavallo, con il palmo della mano destra fermò le due redini sui primi crini del cavallo, poi mise il palmo della mano sinistra quasi sulla testa del cavallo; con un balzo poggiò la sua pancia sul collo del cavallo, ruotò il suo corpo sul fianco destro, divaricò le gambe, si posizionò sulla sella, infilò i piedi nelle staffe. Il modo di scendere da cavallo e salire a cavallo dei Sanfedisti era forse unico. Carlantonio, dopo aver salutato i suoi concittadini, si mosse in direzione di Casamassima seguito dai sei Corsi e dai quindici casamassimesi. Mentre ognuno dei presenti diceva la sua sull’accaduto, un paesano slegò il cavallo che era legato alla parte posteriore dello char à banc, balzò in sella e, mentre si muoveva in direzione del paese, gridò:  Signor Boccheciampe, salite sullo sciarabbàll e seguitemi!

In poco tempo arrivarono a San Michele; percorsero alcune strade prima di giungere nella piazzetta comunale. Dal centro della piazzetta entrarono direttamente nell’atrio del castello perché le due ante del portone di accesso erano spalancate sotto l’arco a tutto sesto di pietra che le sovrastava.
Un uomo era lì ad attenderli perché lo avevano già informato. Quell’uomo, elegante per quei tempi, si avvicinò a Giovanni appena scese dallo char à banc. 

Buon giorno tenente Boccheciampe. 
Buon giorno, signore. 
Il capitano De Cesari è venuto con voi? 
Sì, signore, con gli altri sta andando a Casamassima per l’identificazione.
Non dovete preoccuparvi – tranquillizzò. – C’è stato un equivoco! … Voi siete i Corsi che aspettavamo in Puglia. Francesco Sorìa di Gioia del Colle, venti giorni fa, venne ad informare Carlantonio della vostra venuta. Io ero presente, ero con loro quel giorno, e ricordo che Francesco disse che aveva già dato notizia al Governatore Baronale di Casamassima. Io sono convinto …  mise entusiasmo nella sua voce.  Che, con il vostro aiuto puniremo i Comuni traditori come Acquaviva delle Fonti, Martina Franca, Altamura ed altri, e daremo sostegno ai Sanfedisti del cardinale Fabrizio Ruffo … adesso non voglio aggiungere altro perché penso che abbiate bisogno di un po’ di tranquillità, di riposo … questa è la chiave della casa di Carlantonio, la porta è affiancata a quella del forno. All’uscita girate a destra, non potete sbagliarvi! E’ l’unica casa che ha la porta verde; andate tranquillo, dei due cavalli e dello sciarabbàll ce ne occuperemo noi.

Giovanni salutò e uscì dall’atrio, girò a destra, e quando raggiunse la porta verde si fermò prima di aprirla … lì si respirava odore di buon pane. Quella fragranza invitante e inebriante, catapultò la mente di Giovanni nel mondo dei ricordi … il ricordo della madre; il ricordo della fougasse à livre che lui, ragazzino, portava al forno con attenzione; il ricordo di quando andava a riprenderla e tornava a casa con tanta acquolina in bocca. Tutti quei ricordi, in quel momento, non gli consentirono di aprire la porta verde; lo fecero andare oltre, verso la porta successiva da dove proveniva quel profumo di pane. Bussò ed entrò nel locale del forno. La prima persona che vide fu un uomo robusto e calvo che stava vicino al forno con una pala fra le mani; era di spalle all’ingresso, si girò quando Giovanni disse: Buon giorno!
Buon giorno! – rispose.
Lei è il padrone di questo forno?
Sì, sono io il padrone. – guardò Giovanni dalla testa ai piedi con i suoi occhi castani.  Straniero, mi hanno già detto che ti devo trattare bene per quanto riguarda il
mangiare e forse per altro … lo vuole il Sindaco! … Noi comunque, in questo forno, siamo sempre! a disposizione di tutti gli abitanti di questo piccolo paese, e pure dei forestieri e stranieri che lo attraversano per andare a Bari, a Taranto, a Brindisi, nelle Calabrie … 
Giovanni non rispose subito: pensò, prima di esprimere il proprio desiderio, sapeva che avrebbe messo in difficoltà il fornaio, ma aveva intuito che poteva ottenere
quello che voleva.
Intervenne di nuovo il fornaio spinto dalla incertezza di Giovanni:  Ti vedo indeciso straniero. Ti ho detto che sono a tua disposizione! … Quando la mattina vengo in questo locale so che devo accontentare tutti, altrimenti perdo i clienti … ma tu non sei un semplice cliente, sei l’amico del nostro sindaco! 
Vorrei sapere se qui fate la fougasse à livre.
Il fornaio lo guardò sollevando le sopracciglia, e prima di parlare strinse le labbra, le spinse in avanti, poi le tirò indietro, e mentre le sue guance si deformavano, nella sua mente apparve un grande punto interrogativo. Con gli occhi spalancati per lo stupore esordì: La f’kaz … la f’kaz … la f’kaz à Livre!?
No, no, non è la f’kaz! … E’ un’altra cosa, è completamente diversa perché …
Lo interruppe il fornaio: La f’kaz à livre …
La fougasse à Livre! lo corresse subito Giovanni.
Tu puoi chiamarla come vuoi, straniero, per me è più facile chiamarla F’kaz à Livre … à livre … livre? … Non so cosa significa livre! 
Nella vostra lingua livre significa libro.
E perché si chiama a libro?
Se me la fate fare, e la so fare bene, capirete subito perché mia madre, che era francese di origine, la chiamava fougasse à livre. 
Va bene, voglio vedere come la fai! Mi hai riempito di curiosità. Il forno ora è pieno, fra poco verranno i clienti a ritirare il pane. La f’kaz à Livre te la farò fare domani mattina presto, verrò io a svegliarti.

Si salutarono. Giovanni era contento come quei ragazzini che riescono ad ottenere quello che vogliono. La consapevolezza di trovarsi fra gente amica lo aveva rasserenato. Guardò il cielo azzurro che in quel momento era solcato da uno stormo di colombi; si spostò al centro della piazzetta, volse gli occhi verso Ovest, ammirò le torri, i merli del Castello, il campanile senza guglia della chiesa della Maddalena con la facciata bianchissima, le tre porte azzurre, e le tre scalinate indipendenti: una per ogni porta. Giovanni avrebbe voluto visitarla, ma non era possibile perché in quel momento era chiusa; decise di andare ad aprire la porta verde di quella casa che avrebbe abitato per qualche giorno. L’8 gennaio del 1799, all’alba, il fornaio andò a bussare alla porta verde, Giovanni aprì subito perché era già sveglio. – Buon giorno, straniero!
Buon giorno, amico!
Straniero, non mi hai ancora detto come ti chiami.
Non me lo avete chiesto! … Mi chiamo Giovanni.
Io mi chiamo Luigi. Entrarono nel forno.
Straniero, hai dormito bene questa notte?
Ieri pomeriggio mi lasciai cadere di spalle sul letto, per pensare un po’ … per cercare di porre ordine ai miei pensieri, inavvertitamente mi addormentai completamente vestito; mi sono svegliato molto prima dell’alba. Comunque posso dire che il sonno mi ha fatto bene. Ora ho fame, ma mangerò più tardi.

Luigi stette un attimo a pensare, poi si girò verso una tenda che celava un ingresso.  Rosa!  chiamò. Una mano spostò la tenda ed apparve Rosa, una donna matura, con gli occhi neri; un fazzoletto bianco le copriva i capelli.
Rosa guardò Giovanni, i suoi capelli biondi, i suoi occhi chiari, il suo viso … ebbe un tonfo al cuore … somigliava a suo marito che era scomparso da tanti anni. Esitò prima di parlare. Luigi, che vuoi?
Giovanni farà la f’kaz à Livre, la faceva sua madre … impasterà nell’altra stanza, sul tavolo grande dove impastiamo noi.
Al di là della tenda c’era una grande stanza, al centro era situato un ampio tavolo.
Signore, cosa vi serve? chiese Rosa.
La farina, il lievito, il sale, l’olio, l’origano, un po’ di acqua tiepida, un matterello, un tagliapasta.
Ma sono tutte cose che utilizziamo noi! esclamò Rosa. Sta quasi tutto sul tavolo, a quel lato; anche la farina sta su questo tavolo, sta nel sacchetto bianco, l’altra sta in quel sacco grande poggiato al muro. L’acqua tiepida è nella pignata che sta sul davanzale vicino alla bocca del forno, mentre il lievito sta in una coppa in quella credenza.
Rosa andò subito a riempire una brocca d’acqua dalla pignata e la poggiò sul tavolo.
Scusate, ho dimenticato la teglia: mi serve una teglia rotonda che non sia grande.
Le teglie medie e piccole le abbiamo soltanto di creta di Rutigliano. spiegò Luigi.
Non è un problema: utilizzerò una teglia di creta.
L’impasto ha bisogno di molta crescita? chiese il fornaio.
Starà a crescere poco: il tempo che ci servirà per recitare dieci preghiere. 
Straniero, lo sai che mi stai incuriosendo sempre di più?

Giovanni si tolse i tre anelli e il giaccone grigio che indossava, poi arrotolò le maniche del maglione fin sopra i gomiti; volse lo sguardo intorno, vide che a un angolo c’era un treppiede in ferro battuto che sosteneva un catino bianco; sotto c’era una brocca anch’essa bianca, si avvicinò. Rosa lo raggiunse, prese la brocca e gli verso l’acqua sulle mani, poi gli porse un asciugamano. Luigi si tolse il grembiule e glielo dette. Giovanni prese il sacchetto della farina e, ad occhio, versò sul tavolo il quantitativo che gli serviva, forse era un chilo, forse di più. Accarezzò la farina con i palmi delle mani disponendola a cono, come un vulcano; con il pugno fece pressione sulla cima, e nella farina si formò un piccolo cratere; andò a prendere dalla credenza la coppa, prelevò la palla di lievito, la sbuccio come si fa con la mela, poi la sminuzzò facendo cadere i pezzetti nella stessa coppa; aggiunse l’acqua e, con le dita, sciolse quei pezzetti di lievito, poi versò tutto il contenuto della coppa in quel piccolo cratere, fra la farina. Piano piano, con le dita, cominciò a inumidire la farina; aggiunse un altro po’ di acqua; con i palmi delle mani tirò verso l’acqua tutta la farina, poi, con movimenti delicati, la unì, l’amalgamò, la compattò; iniziò a lavorare quella massa con delicatezza, poi energicamente: la tirava in tutte le direzioni allungandola e ripiegandola in due su sé stessa; la schiacciava con impeto, la raccoglieva a palla e la penetrava con i pugni; poi, facendo pressione con la parte inferiore dei palmi delle mani la spingeva in avanti sul piano del tavolo che si muoveva e cigolava, come un letto … sì come un letto! … Perché impastare è come fare l’amore, con tenerezza e con impeto … è come scrivere una poesia con il tumulto nel cuore e dedicarla a chi si ama. Quando l’impasto diventò omogeneo, sodo e liscio lo raccolse a palla. Rosa e Luigi si guardarono meravigliati: loro non avevano mai impastato a quella maniera: con tenerezza ed energia incalzante. Rosa, che aveva intuito cosa serviva in quel momento, andò a prendere dalla credenza una coppa più capiente e un tovagliolo. Giovanni fece un taglio a croce sull’impasto, lo sollevò con le due mani, lo adagiò nella coppa, lo coprì con il tovagliolo, e incominciò a parlare, ma la sua voce non era la stessa, stranamente era mutata.

Tengo a dirvi che il più bello di questa preparazione inizia ora: dalle preghiere, mia madre riusciva ad incantarmi sempre, anche quando diventai un uomo.

Si fece il segno della croce e, con le mani giunte, recitò nove preghiere, poi concluse così:  Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il Tuo nome, venga il Tuo Regno, sia fatta la Tua volontà, come in cielo così in terra; donaci il pane quotidiano, annulla i nostri debiti, come noi annulliamo quelli dei nostri debitori, allontanaci da ogni tentazione, e liberaci da tutti i mali, Amen.

 
Si rifece il segno della croce, poi infarinò il piano del tavolo, vi posò l’impasto; prese il matterello, lo posizionò sull’impasto, e premendogli sopra con i palmi delle mani incominciò a farlo ruotare avanti e indietro, poi sempre più in avanti, anche al di là del bordo esterno dell’impasto; si fermava, per girare la sfoglia, e subito riprendeva. Quando la sfoglia si assottigliò diminuì la pressione sul matterello e continuò a farlo ruotare dal centro all’esterno, in tutte le direzioni. Si fermò per controllare lo spessore della sfoglia. Posso smettere  disse.  Lo spessore è sottile al punto giusto!  Prese il taglia pasta, tagliò tutte le rotondità alla sfoglia, con quei ritagli di pasta fece una piccola palla. Adesso questa sfoglia ha la forma di un quadrato, e la devo benedire con olio, sale e origano.  spiegò Giovanni. Sollevò l’oliera, fece cadere tante gocce di olio sulla sfoglia e, con i polpastrelli, spalmò lentamente tutta la superficie rendendola lucida; spolverò il sale e infine l’origano.

Questa sfoglia quadrata è simile a un libro! affermò Giovanni con voce suadente, e continuò:  E’ come un libro! … Un libro aperto che contiene la nostra Santa Fede; un libro aperto che contiene tutto il nostro amore per la terra che ci nutre, e ci consente di vivere … e la devo chiudere come si chiudono tutti i libri: la devo chiudere “ a libro “ . 

Infilò gli indici delle due mani sotto i due angoli a sinistra della sfoglia, fece presa con i pollici, sollevò e piegò delicatamente una metà sull’altra facendo combaciare perfettamente i quattro angoli; poi versò gocce di olio anche sulla “ prima di copertina “, spalmò con i polpastrelli e, come aveva fatto prima, spolverò il sale, l’origano; piegò un’altra volta una metà sull’altra, in lunghezza, e ripiegò ancora, fino ad ottenere un cordone rettangolare di pasta. Prese una teglia, versò dell’olio, e con le dita unse tutto il fondo.

Erano trascorsi molti anni da quando la madre era scomparsa, ma quel giorno era risuscitata, era presente e viva nella sua mente; gli parlava come quando gli insegnava a fare la fougasse à livre: “ Giovanni, il cordone di pasta ha un lato chiuso, simile al dorso di un libro; devi fare una spirale con quel cordone, e devi sistemarla nella teglia … ricordi? … Dorso sotto e pieghettature sopra. Sulle pieghettature versa gocce di olio; con le dita devi ungere anche gli incavi fra una piega e l’altra. La pallina che hai fatto con i ritagli di pasta, segnala con la croce, ungila di olio e mettila al centro della spirale.
Giovanni, sorridendo soltanto con gli occhi, portò a termine la preparazione con maestria.
E’ pronta per essere infornata!  annunciò.
Luigi la prese e la mise nel forno .  Finalmente abbiamo visto com’è la f’kaz à livre! esclamò.
La fougasse à livre !  corresse Giovanni.
La f’kaz à livre!  ripetè Luigi.
Ah, ah, ah! … Ah, ah, ah!  Entrambi si misero a ridere.
Dopo mezz’ora Luigi e Giovanni la guardarono nel forno: sembrava la corolla di una rosa dorata in piena fioritura.
E’ pronta! confermò Giovanni. Possiamo sfornarla!
Luigi la tiro fuori, e fu il primo ad essere inebriato da quel magico aroma. La sua curiosità non poteva attendere, andò subito a prendere un coltello, tagliò un pezzettino, era bollente, lo rosicchiò, il sapore lo mandò in estasi. Lasciamola raffreddare un po’ e vi farò vedere io che fine farà!
Dopo qualche minuto la divorarono tutta! Rosa insegnò a fare la f’kaz à livre a quasi tutte le donne di San Michele.
Nel corso dei secoli nella f’kaz à livre hanno messo di tutto, però quella benedetta con l’olio di olive, il sale e l’origano è considerata sempre la preferita.

Si ringrazia l’autore che ha permesso la pubblicazione del suo lavoro di ricerca.

Il poeta Stefano Mallardi è laureato in Scienze Politiche ed è nato il 26 giugno 1942 a Sammichele di Bari, paese profumato del Sud, abbracciato dai mandorli, dai ciliegi e dai miti ulivi. La sua poesia è come quella brezza primaverile che sorge improvvisa nell’anima, la riempie di emozioni e la fa palpitare come ulivo al vento.

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