25 Aprile, la festa di una comunità nazionale tutta ancora da costruire

di Trifone Gargano

Una comunità si riconosce nazione quando condivide collettivamente alcune feste simboliche, al di là delle pur legittime divisioni interne, politiche, sociali, economiche, culturali. Faccio un solo esempio: negli Stati Uniti d’America, conservatori e democratici vedono nel 4 luglio la festa di tutta la nazione (multietnica) americana. Memoria dell’indipendenza delle colonie dall’Inghilterra (4 luglio 1776, giorno della stipula della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America). Questa data è sacra per tutti, non per una sola parte. Data sacra sia per i conservatori che per i democratici.

Non così, invece (purtroppo), in Italia, dove, ancora oggi, a quasi ottant’anni da quel 25 aprile 1945, che sancì la liberazione dal nazifascismo, le polemiche sono ricorrenti, e tanto espliciti quanto striscianti sono pure i tentativi di de-legittimazione di quella data, di quell’evento, non riconoscendolo quindi come evento condiviso da tutta la nazione italiana. Un cammino, dunque, ancora lungo quello da percorrere in Italia, per giungere al riconoscimento condiviso di una identità nazionale collettiva, al di là delle differenziazioni tra destra e sinistra (o centro).

Molti sono stati gli scrittori italiani del Novecento che hanno scritto della lotta partigiana, per la liberazione dell’Italia centro-settentrionale dal nazifascismo. Alcuni di loro sono pure stati partigiani in armi in prima persona. Altri, invece, hanno svolto azioni di supporto. Tanti sono i racconti e i romanzi (taluni con fatti reali, tal altri con vicende d’invenzione) sulla Resistenza, e, in modo particolare, sul 25 aprile. Pavese, Fenoglio, Fortini, Calvino, Gatto, Vittorini, Meneghello, Pasolini, Cassola, Bilenchi, Quasimodo. Per ricordarne qualcuno. Qui, desidero ricordare un racconto di Italo Calvino, in questo 2023, anno centenario della nascita dello scrittore ligure, e precisamente, Ricordo di una battaglia, scritto e pubblicato per la prima volta da Italo Calvino nel 1974, sulle colonne del «Corriere della sera», quotidiano milanese con il quale lo scrittore aveva appena avviato una collaborazione, pubblicando il racconto il 25 aprile di quell’anno. Calvino narra di fatti realmente accaduti, con la sua partecipazione attiva alla battaglia partigiana di Baiardo, in Liguria, il giorno 17 marzo 1945. Il periodo partigiano di Calvino fu breve, da un punto di vista cronologico, ma molto intenso e significativo, sotto il profilo etico (e culturale). Egli stesso scrisse in una lettera privata all’amico e giornalista Eugenio Scalfari:

Italo Calvino

La mia vita in quest’ultimo anno è stata un susseguirsi di peripezie […] ho conosciuto la galera e la fuga, sono stato più volte sull’orlo della morte. Ma sono contento di tutto quello che ho fatto, del capitale di esperienze che ho accumulato, anzi avrei voluto fare di più.

La battaglia di Baiardo, in quel 17 marzo, fu la prima nella quale i partigiani liguri furono appoggiati dai caccia alleati. Il racconto Ricordo di una battaglia, dunque, rievoca un episodio poco noto della Resistenza ligure, nell’entroterra di ponente, a 900 m. sul livello del mare. Calvino, scrivendo questo racconto intese

riportare alla superficie una giornata, una mattina, un’ora tra il buio e la luce all’aprirsi di quella giornata […]. Non ricordi visivi, perché era una notte senza luna né stelle.

Rivivere quell’evento, quella battaglia, attraverso l’udito: il silenzio speciale di un mattino in campagna pieno d’uomini che stanno in silenzio, rombi, spari che riempiono il cielo.

E Calvino aggiunge:

«I risvegli per andare in azione si somigliano tutti, io sono uno dei portamunizioni della mia squadra, sempre sotto a quella dura cassetta quadrata con le cinghie che segano le spalle, ma in questo ricordo le imprecazioni mie e di quelli che vengono dietro si smorzano in uno scoppiettio sottovoce, come se lo spostarci in silenzio fosse il fatto essenziale questa volta ancor più di altre volte, perché nella stessa ora notturna per tutti i costoni del bosco discendono file di uomini armati come la nostra, tutti i distaccamenti del battaglione di Figaro accampati in casolari nascosti sono partiti per tempo, tutti i battaglioni della brigata di Gino traboccano dalle vallate, e incrociano per le mulattiere altre file che si sono già messe in marcia la sera prima da lontane montagne, appena ricevuto quell’ordine da Vittò che comanda la divisione: i partigiani di tutta la zona si concentrino all’alba intorno a Baiardo».

Baiardo

Baiardo «era allora tenuto dai bersaglieri repubblichini, in gran parte studenti, un corpo ben armato e attrezzato e agguerrito, che controllava tutta la valle verde d’olivi giù fino a Ceriana» [altro borgo dell’entroterra ligure].

«Gli obiettivi che ci sono stati assegnati me li ricordo: tagliare i fili del telefono appena sentiamo che comincia l’attacco, sbarrare la strada ai fascisti se cercano di scappare giù per i campi, tenerci pronti a salire in paese di rinforzo all’attacco… questi ordini, che non sono mai stati eseguiti li ricordo punto per punto, ma ora vorrei ricordarmi le facce e i nomi dei miei compagni di squadra, le voci, le frasi in dialetto…».

L’esito della battaglia non fu favorevole ai partigiani:

«ripescare il ricordo della fuga nel fondo del torrente coperto da fitti nocciuoli, che stiamo cercando di risalire per evitare le strade… Oppure posso mettere a fuoco tutto quello che della battaglia ho saputo più tardi… Ecco che se provo a descrivere la battaglia come io non l’ho vista, la memoria che si è attardata finora dietro le ombre incerte prende la rincorsa e si slancia…».

 

Buon 25 aprile, festa della Liberazione.

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