Egnazia: storia e leggende della città perduta

Il parco archeologico di Egnazia (o Egnathia, o Gnazia o Eγνατία), situato lungo il litorale adriatico fra Monopoli e Savelletri, è sicuramente uno dei siti più antichi e suggestivi della Puglia e importante centro dei Messapi posto ai confini con la Peucezia (abitata appunto dai Peuceti, una delle tre tribù degli Iapigi) a nord, lungo la cosiddetta’’ soglia messapica’’.

 

 

Egnazia ha dato il nome ad una particolare tecnica di pittura di età ellenistica, la “ceramica di Egnazia” (‘’di Gnathia’’), realizzata anche in diverse località della Puglia e dell’Italia meridionale nei secoli IV-III secolo a.C. Lo stile di questi oggetti è nel fondo nero, con sovradipinture bianche, gialle e rosse che rappresentano elementi dionisiaci e di costume.

Il sito riporta testimonianze che vanno dall’età del Bronzo fino all’epoca medievale e già autori come Plinio il Vecchio, Strabone e Orazio citano l’antica città come importante centro di traffici e commerci, favorito sia dalla posizione geografica che dalla presenza della via Traiana lastricata nel 109 d.C. , che conduce ai resti di importanti edifici pubblici e su cui sono ancora visibili i solchi lasciati dai carri.

Fu luogo ideale in cui stabilirsi per la presenza delle fosse, o fogge, anticamente chiamate piscine, pubbliche cisterne in cui si raccoglieva l’acqua piovana.

Nell’età del Ferro la città fu occupata dagli Iàpigi provenienti dall’area balcanica, nell’VIII secolo a.C. visse la fase messapica, ed infine fu conquistata dai Romani.

Della sua antichissima storia rimangono monumenti e abitazioni di età romana e tardo antica nonché la poderosa cinta di difesa con il muraglione nord alto ben 7 metri. Fuori le mura invece si trova la necropoli messapica detta “occidentale” con tombe a fossa, a semicamera e a camera, alcune delle quali decorate con raffinati affreschi.

Visibile anche l’Anfiteatro, un ampio recinto di forma ellissoidale con pareti coperte in alcuni punti da tracce di pittura e intonaco ormai quasi invisibili  e che aveva, con molta probabilità una funzione non del tutto chiara.  Sappiamo però che i muri dell’edificio sono delimitati all’esterno da un camminamento lastricato percorribile per lunghi tratti. Recenti studi hanno portato a pensare che in realtà si trattasse del Teatro Sacro, collegato al Sacello delle Divinità Orientali; ma con l’avvento del cristianesimo molto probabilmente divenne il mercato boario.

Durante tutto il percorso a piedi è possibile visitare anche il Criptoportico, una struttura sotterranea in piccola parte scavata nella roccia e per il resto costruita in tecnica cementizia, coperta a botte e intonacata. Non essendo conosciute le strutture che lo sormontavano, può essere spiegato o come semplice ambulacro coperto o come deposito per cereali.

Da non sottovalutare anche la Fornace Romana, adibita probabilmente per la cottura di grandi recipienti di argilla, ed il grande complesso paleocristiano con Basilica e Battistero.

A dominare la città, da una collina che si protende sul mare, la maestosa Acropoli, area destinata alla vita religiosa da cui si gode una splendida vista panoramica, dove sono state rinvenute tracce dei rituali svolti in onore della divinità.

Uno dei culti più diffusi, legato soprattutto ai rituali funerari, era quello di Demetra, di cui rimangono molte tracce come i resti di maialini probabilmente sacrificati alla dea, alla “Madre terra” e dea della maternità (probabilmente dal nome indoeuropeo della Madre terra *dheghom mather), sorella di Zeus.

 

Ed è qui, nei pressi della stessa, viene costruito un villaggio di capanne dove gli abitanti si dedicavano alla caccia, all’agricoltura, all’allevamento e alla pesca ma anche alla lavorazione del latte, dei cereali e infine alla fabbricazione di utensili in ceramica, metallo e osso.

Il piccolo villaggio era protetto un muro di cinta ancora oggi visibile sul fianco dell’acropoli. Era realizzato a secco direttamente sul banco roccioso e composto da due cortine, in pietre irregolari, con un nucleo di pietrame e terra all’interno. La struttura, alta 2,20 metri e larga alla base 3 metri, difendeva dalle minacce che potevano provenire dall’entroterra, un’area di circa 2 ettari.

 

All’esterno delle mura di cinta si trova il Museo Archeologico Nazionale di Egnazia, al suo interno i reperti sono organizzati in tre differenti mostre tematiche: la prima su materiali dell’età del bronzo, la seconda sulla storia della città e la terza intitolata Archeologia globale ad Egnazia nella quale si evidenziano le relazioni tra l’archeologia e le altre discipline scientifiche. Il museo, edificato nel 1975 all’esterno delle mura di cinta dell’antica Gnathia, ha accolto a partire dal 1981 una serie di mostre temporanee, mantenendo anche stabilmente una mostra didattica su ‘Egnazia, la storia e i monumenti’.

Nelle fondazioni del museo è inoltre inglobata una tomba a camera messapica del IV sec. a.C., la cosiddetta Tomba delle Melagrane. E’ anche sede degli uffici della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia addetti al controllo del territorio, ricchissimo di testimonianze sepolte, nonché alla tutela, alla valorizzazione ed alla divulgazione dei beni archeologici.

 

Presso la struttura, oltre agli uffici di direzione e segreteria, hanno sede il laboratorio di restauro, l’ufficio tecnico, l’ufficio catalogo, la biblioteca, il servizio didattico.

Il fascino di questo sito archeologico continua ad essere, anche a distanza di secoli, meta di tantissimi turisti e visitatori che si avventurano tra le strade di quella che oggi è una città sommersa.

Il testo e le foto sono di Raffaella Cimmarusti

 

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