Fave e cicorie

fave e cicorieFave e cicorie: appuntamento con la cultura, a cura di Trifone Gargano

Uno dei piatti tipici della tradizione culinaria della Puglia è proprio fave e cicorie. La sera prima, occorrerà mettere le fave secche (decorticate) in ammollo. Il giorno dopo, quindi, andrà sbucciata una patata e tagliata a pezzetti, per essere messa in pentola con le fave, in modo che la patata  renda più cremoso il composto; aggiungere acqua fino a coprire di un paio di dita il tutto, e lasciar cuocere a fuoco basso, per un paio di ore, fino a quando cioè le fave si sfaldino. Girando con un cucchiaio di legno, il tutto assumerà la consistenza di un purè. A parte, occorrerà lavare perbene le cicorielle, eliminando le foglie secche e le radici; quindi, cuocerle in abbondante acqua salata. Infine, scolarle, e sistemarle (con le fave) nella metà del piatto non occupato dal purè, condendole con dell’ottimo olio extravergine di oliva.

La cicoria, erba del sole

Un giorno, il Sole chiese in sposa una bella donna, la Dama dei fiori; che, però, rifiutò la richiesta. A quel punto, il Sole, indispettitosi, la trasformò in un fiore di cicoria, condannato a fissare l’astro dal momento in cui appare all’orizzonte, fino a quando scompare. In effetti, la cicoria (sponsa solis, sposa del sole), si apre con il sorgere del sole e si chiude quando tramonta.

Esistono molte varietà di cicorie, di diverse morfologia. La più comune è quella selvatica, che cresce lungo i bordi delle strade e dei sentieri.

Le foglie, che sono ricche di sali minerali, si colgono per farne un’ottima insalata amarognola (molto raccomandata sin dall’antichità, perché giova al fegato, è depurativa, febbrifuga, e leggermente lassativa, diuretica e tonica. Dalle radici e dalle foglie di ricava anche un tonico amaro e lassativo; una volta, le radici, seccate, tostate e macinate, venivano utilizzate come surrogato del caffè.

La fava

Nel mondo antico, era convinzione diffusa che le fave impedivano di tenersi puri. I pitagorici la ritenevano uno strumento (nefasto) di collegamento tra l’Ade e il mondo degli uomini. Si credeva che una fava, chiusa in una scatola e sepolta nella terra (o nel letame), dopo un periodo di gestazione, si trasformasse in testa di bambino (o in un sesso femminile), oppure, che diventasse sangue. Di qui, il diffuso rifiuto di alimentarsi di fave, perché significava alimentarsi di carne e sangue umani, comportarsi, cioè, come le bestie feroci.

Già nel XVI secolo, si ammoniva che le fave “gonfiano e fanno ventosità, digerisconsi malagevolmente, fanno sognare cose paurose e terribili, e fanno il corpo carnoso”. Una pratica contadina vuole che si utilizzino le fave, quando sono piantine ancora tenere, per “ingrassare” il terreno, attraverso la tecnica nota come “sovescio”. Questa tecnica, infatti, che consiste nel sotterrare le piante ancora in fiore, serve per arricchire il terreno di azoto atmosferico (utilizzato proprio dalle giovani piante).

Nella cultura popolare meridionale sono diffusissime credenze e proverbi legate alla ‘fava’. Tanto per citare un solo esempio: nelle terre del Gargano, in Puglia, la notte di san Giovanni Battista, la ragazza da marito metteva sotto il cuscino tre fave, una con la buccia, un’altra senza e la terza morsicata nella parte superiore. Durante la notte, ne prendeva, a caso, una: la prima (quella con la buccia), avrebbe predetto alla ragazza una vita da ricca; la seconda (senza la buccia), una vita da povera; la terza (la fava morsicata), una vita mediocre.

Siccome la fava, in fase di cottura, si gonfia, e ha la prerogativa, più di altri legumi, di riscaldare lo stomaco e di gonfiare gli intestini, ha sempre evocato, nella cultura contadina, il simbolo dell’uomo borioso, gonfio di sé. Il proverbio ancor oggi popolare è quello che si ispira all’uccellagione: “Pigliar due piccioni con una fava”, che sta a dire che si possono ottenere due vantaggi con un unico mezzo, o con uno solo sforzo.

Buon appetito con le Fave e cicorie!!!

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